Capone, una carriera fin qui sempre con la maglia del Desenzano

Talentuoso calciatore ha vestito le maglie del Desenzano di tutte le categorie. Per i suoi 19 anni non farà più parte del settore giovanile

DESENZANO (Brescia) 22.05.2023 – C’è un veterano per ogni squadra, in quella della Juniores del Calcio Desenzano si chiama Luca Capone. Sfogliando vocabolari online, la parola veterano è associata a chi esercita un’attività o una professione; oppure a un atleta che pratica da molti anni uno sport e che per lo più si è ritirato dalle gare. Luca Capone nulla di tutto questo. Con la sua giovane età (nato a Desenzano il 16 ottobre del 2004) è l’unico superstite di quella squadra che in avvio di progetto calcio Desenzano, è entrato da subito nella storica rosa che ha composto quella squadra giovanile, prima e finora unica squadra partecipante a un campionato nazionale.
Punta, mezzapunta e all’occorrenza trequartista, nella stagione appena conclusa si mette a disposizione del gruppo interpretando il ruolo di playmaker. “Pirlo ha iniziato la sua carriera così, retrocedendo da attaccante a uomo davanti alla difesa” gli disse scherzosamente mister Ugolini al ritorno dalla vittoriosa trasferta di Casatenovo contro Casatese all’epoca seconda in classifica. In quell’occasione, Capone disputa una delle sue migliori partite e riesce anche a mettere in ghiaccio la vittoria con un preziosissimo gol. Ma Capone dall’alto della sua umiltà che lo ha sempre contraddistinto, non si esalta, non si monta la testa, ma anzi, cerca in ogni parola e in ogni consiglio, di creare spunti per una carriera.
Questo si evince quando nella nostra intervista, cerca di soffermarsi su tutto quanto lo può migliorare: “vorrei riuscire a lasciar fuori dal campo di gioco certi aspetti della vita che a volte ne condizionano le mie apparizioni in campo – ci confida Luca Capone – a volte tendo a chiudermi in me stesso e sono consapevole che è un aspetto sul quale voglio e devo migliorare

Quali sono stati i primi approcci con il calcio?
Come ogni bambino, sognavo di diventare una star con la maglia della mia squadra del cuore (Napoli n.d.r), magari quella con il numero 10 che fu di Maradona. Così all’età di sei anni ho provato a cimentarmi. Essendo nato a Desenzano è stato semplice cercare un club che me ne desse possibilità. Poi man mano crescevo vedevo che ero nel mirino di alcuni tecnici. Ho provato con test al Chievo e alla Feralpi Salò, ma quella del Desenzano è sempre stata la mia maglia.

Cosa ha imparato tecnicamente? C’è un gesto atletico di cui va fiero?
Quando giocavo in attacco ero sempre posizionato a sinistra, in quella zona di campo ho imparato a sterzare e rientrare sul piede preferito calciando a giro sul secondo palo.

Tanti anni al settore giovanile del Desenzano con tanti tecnici diversi. Con quale ha imparato di più?
Non perchè è l’ultimo mio allenatore in ordine di tempo, ma credo che Ugolini sia stata la fonte dei miei più utili insegnamenti. Ho migliorato molto nello smarcamento, nel pressing e a portare palla. Il mister mi ha dato molto anche dal punto di vista umano, lo considero un genitore aggiunto.

Qualche allenamento con la prima squadra, ma non è mai capitata l’occasione di un esordio. Cosa si aspetta quando succederà?
Sono al capitolo finale della mia esperienza nel settore giovanile e quindi mantengo ancora i piedi per terra. A giugno ci sarà una svolta importante, certo, la speranza è quella di fare il ritiro con la prima squadra del Desenzano, ma vorrei tenere aspettative basse.

In questa sua lunga permanenza nel settore giovanile, c’è una partita per lei memorabile?
Si quella giocata a gennaio 2018 contro Aurora Travagliato. Entrai da titolare nella squadra di ragazzi di un anno più grandi e mi misi in luce segnando tre gol, per me uno più bello dell’altro. Vincemmo la partita contro una squadra data per favorita e questo rese la vittoria ancor più bella.

Quella che invece vorrebbe dimenticare?
Più che dimenticare, la vorrei rigiocare. Parlo di una gara del 2017 contro Rigamonti, scontro diretto per la vittoria in campionato. Sotto di un gol malgrado stessimo tutti giocando una bella partita, riuscii a conquistarmi un calcio di rigore, ma lo tirai addosso al portiere. Mi crollò il mondo addosso e solo grazie al cuore dei compagni e dell’allenatore riuscii a guardare avanti. Questo aspetto mi ha fatto anche capire quanto fosse importante la coesione di un gruppo, infatti il campionato lo vincemmo lo stesso.

Quel è stato il compagno più forte con cui ha giocato?
Per il suo carisma e per la tranquillità che trasmetteva a tutti: Pietro Guarisco.

Il sogno nel cassetto?
Ho sempre desiderato come ogni bambino che gioca a calcio di esordire in serie A, una volta cresciuto ho capito che quel sogno doveva rimanere tale. Vivo questo momento sperando in una vita felice, serena e priva di rimorsi.

Come ultimo passo di questo nostro incontro, vorrei offrirle qualche riga per dire magari qualcosa che non è stato detto o per ringraziare qualcuno.
In tutto questo non ho citato mio padre. É ed è stato il mio compagno di avventure, l’unico che c’è sempre stato e senza mai mettersi d’intralcio nel mio percorso anzi, incoraggiandomi nei momenti in cui ne avevo davvero bisogno. Ha sempre trovato il tempo da potermi dedicare, anche se in quest’ultimo periodo mi segue un po’ meno ma per problemi di diversa natura. Lo sento sempre e comunque vicino e a lui devo tutta la mia carriera calcistica e la mia crescita come uomo.

Luca Capone, all'epoca degli Under 17 con la maglia dell'allora Sporting Desenzano
Luca Capone, all’epoca degli Under 17 con la maglia dell’allora Sporting Desenzano

Mister Tacchinardi: “Alleno un gruppo giovane con grande potenziale”

Intervista con il nuovo allenatore del Calcio Desenzano dopo tre giorni di preparazione pre-stagione 2022-2023

DESENZANO (Brescia) 27.07.2022 – Una nuova squadra, un nuovo staff tecnico ma soprattutto, un nuovo allenatore. Chi siederà sul panchina del Calcio Desenzano per la stagione 2022-2023 sarà Mario Tacchinardi, ex Breno, con tante ambizioni e un sogno nel cassetto: sbarcare nel mondo dei professionisti come allenatore.

Dopo tre giorni dal raduno e dopo sedute mattutine e pomeridiane di lavoro per il nuovo gruppo del Calcio Desenzano , l’allenatore biancoazzurro si concede al taccuino del nostro ufficio stampa.

Mister Tacchinardi, dopo quattro anni trascorsi al Breno ottenendo risultati al di sopra delle aspettative e offrendo sempre del buon calcio, sbarca a Desenzano. Qual è l’obiettivo che si pone?
Rispetto al Breno, il Desenzano è un altro tipo di società ed è anche una piazza diversa. L’obiettivo è sempre e comunque quello di fare bene. Il fatto che il budget si è molto abbassato rispetto alle scorse annate calcistiche, non ci mette tra le favorite e quindi non abbiamo quella pressione che a volte potrebbe essere penalizzante. Sarà un percorso di crescita perché il gruppo é giovane e con un grandissimo potenziale che potrà essere messo in luce solo con un importante lavoro settimanale.

Che società ha trovato?
Devo dire che sin dal primo contatto mi fatto una grandissima impressione positiva.  Un gruppo di lavoro invisibile che lavora dietro le quinte e capace di organizzare perfettamente tutto. Questo è un segnale importante per noi che invece siamo sempre sotto la luce dei riflettori. Le ambizioni sono tante e spero di contribuire a portare un po’ di entusiasmo a Desenzano

Cosa ci dice sul suo nuovo impegno professionale?
La società ha creduto subito nella metodologia che ho portato qui. Se poi ci aggiungiamo la qualità dei ragazzi e soprattutto il percorso di crescita, credo che ci potremmo togliere belle soddisfazioni.

Sarà difficile gestire un gruppo la cui età media è di 21 anni?
E’ il tipo di squadra che ho chiesto sin dal primo contatto con il direttore Olli. Linea poi rafforzata anche dopo aver avuto il primo contatto con il presidente. Il progetto è nato con linee guida ben specifiche e sta avendo il suo corso mantenendole.

Quindi è questo il suo modo di vivere il calcio?
Sì. Quello di avere a disposizione una squadra alla quale poter creare un’identità e una mentalità.

Quindi si può ritenere soddisfatto del lavoro di mercato operato dalla società?
Si, manca ancora qualcosina da mettere a punto ma posso ritenermi soddisfatto.

Dove si dovrà ritoccare la rosa?
Siamo un po’ carenti sulla quota più giovane (2004 ndr) ma non è facile perché i giocatori di valore di quell’annata vanno a ruba e soprattutto è una quota anche per il campionato Eccellenza.

C’è già una strategia?
Credo che ora occorrerà stare alla finestra ed aspettare che dai settori giovanili professionistici salti fuori un giovane di valore in esubero che possa fare al caso nostro.

Gli altri ruoli sono a posto?
Forse manca un mezzo tassello in avanti ma solo per avere quel pizzico di esperienza in più che non guasta mai.

Tornando all’obiettivo, dopo due anni con playoff solo sfiorati, quest’anno potrebbe essere l’annata giusta perché senza una pressione mediatica, il gruppo è in grado di lavorare meglio e magari stavolta centrarli. Non trova?
Una società come Desenzano deve sempre avere l’ambizione e quindi piazzarsi tra le prime cinque è un punto d’arrivo non scritto ma sottinteso. Noi ci proveremo comunque magari togliendoci qualche soddisfazione su gioco, impegno e lavoro.

Goglino e Tanghetti sono giocatori che lei conosce già. Potrebbe essere un aiuto per il suo lavoro?
Si ma credo che la rosa sia formata da elementi già importanti di suo. Se pensiamo alla linea difensiva composta da Alborghetti, Varoli ed Esposito che arrivano con esperienze importanti. Poi che dire di Mandelli che ha giocato in Lega Pro. Diciamo che i miei due ex Breno mi possono dare un aiuto a trasmettere agli altri la mia metodologia.

Cosa si aspetta da questo campionato?
Lo considero uno step sicuramente migliorativo, però io sono molto ambizioso; quindi, non ci sarà nessuna società che mi potrà mettere una maggiore pressione di quella che mi metto io spontaneamente.

L’obiettivo professionale di mister Tacchinardi?
Lavoro per migliorarmi giorno dopo giorno e anno dopo anno. Vorrei che il mio percorso mi porti al professionismo e mi impegno per arrivarci.

Magari con il Desenzano?
E’ un sogno che voglio coltivare già da quest’anno.

Marini: le ambizioni si fondono con la società

L’intervista al preparatore atletico: “La conoscenza professionale, la voglia di crescere e di migliorarsi sono le caratteristiche del preparatore”

Alla seconda stagione con la società gardesana, Nicola Marini è un punto fermo della società, il quale si è ottimamente integrato con gli altri membri dello staff nonché con Mister Florindo e con i giocatori; d’altronde, l’ottima integrazione e la collaborazione tra le varie figure dello staff è uno dei fiori all’occhiello del Desenzano Calvina, di cui andare fieri.

Buongiorno Nicola. Qual è la settimana-tipo di lavoro al Desenzano Calvina?
“Cerchiamo di integrare i lavori e di renderli più uniti possibili tra la preparazione fisica e quella tecnico-tattica. Solitamente il martedì facciamo un lavoro differenziato a seconda di chi ha giocato e chi no, il mercoledì puntiamo di più sulla forza, al giovedì invece lavora il mister in vista della partita mentre il venerdì è il giorno che preferisco, perché viene dedicato all’agility e quindi viene messa in campo la mia conoscenza. Infine al sabato ci si dedica solo ad un po’ di rapidità”.

I giocatori la seguono e la ascoltano?
“Si, fortunatamente ho un ottimo rapporto con tutti vista anche l’età simile. C’è molto rispetto per la mia figura, e la cosa è reciproca. Sono dieci anni che alleno e ho vissuto diverse situazioni, questo mi aiuta molto anche per fornire la giusta sicurezza e dare certezze in ciò che propongo”. 

Quanto è importante la collaborazione e l’interazione con l’allenatore? E con gli altri membri dello staff?
“Direi fondamentale, nel calcio di oggi non si può più pensare di dividere l’allenamento in compartimenti stagni, deve esserci un filo conduttore. Personalmente punto molto a far capire l’importanza delle esercitazioni, la grandezza del campo, il volume del lavoro, la durata, a seconda di quello che andiamo a ricercare, integrando quello che propone l’allenatore”.

Il modo di lavoro cambia in base agli avversari che di volta in volta si incontrano?
“Noi dobbiamo rispettare la nostra identità, spero sempre siano gli altri a doversi adattare a noi. La nostra intenzione è quella di gestire e giocare la partita secondo la nostra identità di base”.

Come vive la partita un preparatore atletico da bordo campo?
“Divido la partita in sei/quindici, vale a dire in tre diversi momenti per ogni tempo di gioco e cerco di guardare quello che gli altri notano di meno, ad esempio come si arriva sulle seconde palle piuttosto che la gestione del pallone mentre è praticamente impossibile stabilire quanto ha corso un giocatore senza l’ausilio di un supporto come il gps, che utilizziamo molto spesso”.

Capita, a volte, di dare il “via libera” a giocatori non ancora del tutto recuperati fisicamente: su cosa si basa questa decisione?
“In Serie A un giocatore rappresenta un costo e deve rendere anche in base a quello. In generale, però, cerchiamo di applicare ciò che dice la letteratura scientifica inerente i tempi e le modalità di recupero, a seconda del tipo di infortunio subito”.

Il lavoro sul campo è importante ma la ricerca scientifica, sotto forma di conoscenze, come la definisce?
“Indispensabile, se non studi non puoi fare questo lavoro. Cerco di leggere il più possibile, ad esempio sul pullman quando ho un pochino di tempo libero per capire cosa c’è di nuovo. Ogni qualvolta che leggo qualcosa di nuovo mi sembra di non conoscere niente. Ma il mio obiettivo è sempre quello di migliorarmi”.

Un buon preparatore dovrebbe possedere, di base, tre fattori: gestione della conoscenza, gestione degli ambienti e autogestione. Si ritrova in questo?
“Si, assolutamente si, è in linea con quanto penso e credo anche io”.

Esistono altri fattori oltre ai sopra citati? Se si, quali?
“La più grande capacità è quella di far credere ai giocatori che quello che si sta proponendo sia il massimo per loro, in special modo se proponi qualcosa di diverso da quello che si fa abitualmente. Allenare è una scienza ma anche un’arte, bisogna avere tante conoscenze perché solo queste ti forniscono la giusta sicurezza nel lavoro”.

Quali sono le principali difficoltà?
“Capire quando un giocatore è allenato oppure non lo è, se si sta allenando troppo oppure troppo poco. Non avendo strumenti di alto livello che possono vantare solo le squadre di Serie A, ci basiamo sulle sensazioni che ci riportano i giocatori e su quello che vediamo noi”.

C’è stato un preparatore atletico che ha preso a modello?
“Sono amante sia del modello spagnolo per quanto concerne il lavoro sul campo che di quello inglese per gli esercizi in palestra, queste due metodologie di lavoro mi hanno influenzato molto. Se poi proprio devo fare un nome, secondo me in Italia il numero uno è Alberto Andorlini, in passato preparatore dell’Inter”.

Quanto contano i social network nel suo lavoro?
“Purtroppo contano anche se a me non piacciono molto, ho una pagina Instagram ma non pubblico molto; leggo tanto e penso ci siano preparatori veramente bravi, migliori di me, e anche loro pubblicano poco, dando più importanza alla stesura di libri. Sono pochi coloro i quali pubblicano sui social concetti di alto livello, penso ad esempio a Alberto Pasini, attuale preparatore dell’Atalanta”.

Come si trova al Desenzano Calvina? Cosa rappresenta per Lei?
“Mi trovo molto bene, la società è serissima, sicuramente la più seria in cui sono stato. Si respira la possibilità di fare calcio a livelli anche più alti seppur ci vuole tempo ma si percepisce che l’ambizione è quella ed è in linea anche con la mia”.

Oltre ai calciatori, lavora anche esternamente?
“Si, ho il mio studio che si chiama NM Recovery Performance a Castiglione delle Stiviere dove passo tutto il mio tempo ad eccezione degli allenamenti della squadra. E per chi volesse, ho anche il profilo Instagram”.

Stefano Benetazzo